Toccata e fuga a New York per le maschere liguri (ma che successo). Ampia galleria fotografica

di Marco Raffa

L’imponenza dei grattacieli, il caos organizzato delle strade, la commozione di Ground Zero, il calore degli italo-americani del Columbus Day, gli spettacoli no-stop di Times Square, il mix di stile e di kitsch che si può trovare in pochi metri, tra una boutique di livello e un negozio di souvenir. New York forse non è l’America, certamente è molto di più. Un tuffo in una metropoli che, scusate il paragone che per molti sarà ingenuo, ricorda molto il centro di Milano se non fosse per l’altezza dei grattacieli e il costo esorbitante di una colazione (un bicchierone di carta di cioccolata Starbucks e una brioche qui viaggiano sui 12-14 dollari) o di un hot dog (consumato al baracchino in strada non costa meno di 15 dollari).

Detto questo, il viaggio lampo-americano delle maschere liguri e delle consorelle italiane (in 130, inquadrate dal Centro di Coordinamento delle Maschere Italiane, hanno sfilato il 14 ottobre sulla Fitfth Avenue) è stato un successo, anzi un’esperienza entusiasmante. Capitan Spaventa e Capitan Fracassa, Cicciolin e la Principessa Perseghina, U Cillu e Isabella Andreini con la Principessa Doria-Del Carretto, ovvero Genova-Loano-Borghetto Santo Spirito-Savona si sono tolti più di uno sfizio. Intanto la compagnia: il Pulcinella ufficiale del Museo di Acerra, Arlecchino e Brighella, Giangurgolo e Meo Patacca, Gianduja di Torino e il Bicciolano di Vercelli, Re Biscottino e Regina Cunetta di Novara, Marcantonio e la Cecca di Varallo e tanti altri personaggi  antichi e recenti, tutti con un retroterra di spettacoli, feste e tradizioni radicate nei rispettivi territori. Per dire, il Papà del Gnoco di Verona, maschera di un carnevale con mezzo millennio di storia alle spalle, o il Guazzarò di Offida (Ascoli Piceno) che nel 2025 festeggerà l’edizione numero 501. 

Poi c’è l’album dei ricordi, ricco di incontri ma soprattutto di emozioni, perché le bandierine tricolori sventolate dal pubblico che affollava il percorso della parata raccontavano tante storie: i nonni, anzi i bisnonni o qualcuno più indietro arrivato dall’Italia a cercare fortuna. Giovanissimi newyorchesi dal cognome italiano che forse solo in queste occasioni capiscono chi sono e da dove arriva la loro famiglia. Poliziotti e vigili del fuoco orgogliosi delle loro targhette con i cognomi che svelano origini nostrane: Esposito, Alfieri, Re e così via. La fascia tricolore indossata dalla governatrice Kathy Hochul, consapevole che questa non è una città o una nazione come le altre, ma deve essere orgogliosa o almeno consapevole della sua multiculturalità. 

“Genova, Genova!!!” grida qualcuno vedendo il gonfalone di Capitan Spaventa, personaggio a metà tra storia e teatro nato nel Cinquecento e di cui le carte raccontano persino un’esibizione a Savona, con tutti i personaggi richiesti dal pubblico dell’epoca: l’Innamorata, lo Zanni, Pantalone e così via. Una tv vuole immortalare un’espressione buffa del loanese Capitan Fracassa con la maschera dal lunghissimo naso sotto lo sguardo divertito della principessa Del Carretto, altre due vogliono sapere da Capitan Spaventa se Colombo è stato un eroe o uno schiavista. Curiosità per la Principessa Perseghina e U Cillu, portacolori della Borghetto di una volta. Dall’alto del carro di Italea, Re Cicciolin con Balanzone e altre maschere, saluta e balla al ritmo dei brani più conosciuti del pop italiano (Cutugno, Modugno & C.) che l’America non ha mai smesso di identificare con l’Italia. Selfie per tutti, prima, durante e dopo la parata. Sì,  perché la regista della partecipazione italiana al Columbus Day è stata categorica: qui si interagisce con il pubblico, basta sfilate “ingessate” da belle statuine. Di qui le incursioni sui due lati della parata, a contatto con la folla. Che accetta e risponde.

Insomma, è andata. Ultima nota, il contrasto tra Brooklyn e Manhattan. Una passeggiata tra edifici della “Broccolino” d’altri tempi, con palazzi di tre-quattro piani e le scale antincendio in facciata, pizzerie e pub aperti fino a tardi. Una corsa tra le piramidi di vetrocemento di Manhattan, un tuffo nel dedalo organizzato della metro. E a Times Square l’incontro con un personaggio che forse meglio di altri racconta tutta la follia di questa città cinica e allegra, tragica e gigantesca. Il Naked Cowboy in mutande, cappello, stivaloni e chitarra. Tanti muscoli e nessun brivido anche con i 12-14 gradi di una mattinata gelida. “Poveraccio, penso sbagliando tutto – ecco qualcuno che per tirar su qualche dollaro in questi mesi si è inventato un personaggio buffo per guadagnare un selfie a pagamento”. Come la Minnie sudamericana che sbuca già in costume dalla fermata della metro o il giovane che trascina su un carretto l’armatura di Transformer-Bumblebee che indossera tra poco. Niente, tutto da rivedere. Perché il Naked Cowboy è una signora attrazione di Times Square. Tanto da meritare un “action figure”, un pupazzetto in plastica blisterato tutto suo – e datato 2015 – regolarmente in vendita in tutti i negozi di souvenir della Quinta. Altro che poveraccio un po’ svitato, questo qui – pelle d’oca a parte – è un numero uno.  Arrivederci New York!!!

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