L’idea, un po’ pazza, è venuta a Michele Cammarata, chef e grigliatore di rango: creare una salsiccia unica, mai sperimentata: di tonno. Gli esperimenti non sono mancati sino alla nascita di un prodotto unico, gustoso al punto giusto, che unisce mare e monti con i suoi abbinamenti. E’ nata solo poche settimane fa (ma alle spalle c’è anche la storia) tra Villanova d’Albenga e Alassio e, non a caso, è stata chiamata Salsiccia della Gallinara, dal nome dell’isolotto di fronte ad Albenga. L’impasto è ovviamente segreto (il tonno è ovviamente il protagonista, ma non è il solo…) e viene servita abbinata a salsine e verdure.
“Volevo creare qualche cosa di particolare, che unisse la tradizione di Villanova d’Albenga, famosa anche per la macelleria Piraldo che prepara oltre 50 tipi di salsiccia, al mare. Così, dopo aver fatto molte prove ho messo a punto la ricetta della salsiccia di tonno”, racconta lo chef. La produzione ora è ferma causa Coronavirus, ma la produzione riprenderà non appena l’emergenza sarà finita. Nei suoi due locali, la Mangiatoia ad Alassio e l’Osteria Barbacana a Villanova d’Albenga, da quando è entrata in produzione la Salsiccia della Gallinara era il piatto più richiesto, al punto che la produzione era aumentata in maniera esponenziale. “Le richieste erano tantissime ed eravamo pronti a metterla a disposizione di chi vuole cucinarla a casa. Quando l’emergenza virus terminerà sarà in vendita solo nella pescheria di Villanova d’Albenga, la mia idea, infatti, è quella di legarla strettamente al territorio, con la speranza diventi un elemento di attrazione per far conoscere maggiormente il nostro splendido entroterra”, racconta ancora Michele Cammarata, alle spalle una solida base in cucina con collaborazioni anche stellate, come quella con Massimo Viglietti, Stella Michelin ad Alassio ed ora stellato a Roma.
Il legame con il passato, invece, deriva dalla storia, quella dei “tonnarotti” che, tra ‘700 e metà ‘900, da Moglio, frazione collinare di Alassio e Villanova d’Albenga andavano a lavorare nelle tonnare della Sardegna, non come pescatori, ma come macellai, per smezzare i tonni. Ricevevano una paga, certo, ma forse per la parsimonia ligure, spiaceva buttare il “quinto quarto” del tonno (non a caso chiamato il “maiale del mare”). Così, accanto alla moneta, avevano la possibilità di portare a casa la “ventre” e altri sottoprodotti della lavorazione, come il “musciamme” (filetto), la “biella” (budello), il “coeu” (cuore), il “figatallo” e la “bottarga” (uova), scarti che venivano essiccati al vento per essere poi fatti rinvenire una volta tornati in Riviera. A casa le donne (ma anche gli uomini che nell’entroterra ligure sono spesso ottimi cuochi, soprattutto di piatti dal sapore forte) si inventarono ricette dal gusto forte ma gustose. La “ventre” (con la e finale) viene tuttora preparata a Moglio e Villanova d’Albenga in umido, con patate, polpa di pomodoro, prezzemolo, pinoli, alloro, noci, aglio, vino bianco ed olio. La differenza, rispetto al passato, è il prezzo, quello che un tempo era un piatto poverissimo oggi è diventato ricercato e molto caro.
Vecchio cronista alla Stampa, mai saggio…