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Barbara Testa racconta il suo amore per il Rwanda

Barbara Testa, che con Cristina Tarello è in questi giorni in Rwanda per realizzare alcuni progetti di solidarietà, racconta oggi come è nata la sua attività a sostegno della missione di Padre Hermann, un impegno che la coinvolge da quindici anni. Questo il suo racconto che segue i primi due pubblicati nei giorni scorsi.

 

Tutto ebbe inizio ad una cena di beneficenza dalle Suore di Maria Ausiliatrice ad Alassio, nell’estate del 2003. Li conobbi Padre Hermann, invitata da un’amica, Loredana Polli che mi disse “Vieni ad una cena di beneficenza? C’è un missionario che arriva dall’Africa”. Spinta dalla curiosità andai. Le parole del missionario erano dure, spesso crude, ma il suo racconto era naturale mentre I suoi occhi si inumidivano al ricordo di fatti avvenuti pochissimi anni prima, quelli del genocidio. Lui l’ha vissuto sulla propria pelle. Non sapevo, quella sera, che sarebbe iniziata così la mia lunga storia con il Rwanda, che continua ancora oggi. Finita la cena io e altri ci siamo fermati per chiacchierare con lui. Il passo verso il primo viaggio è stato veloce. “Venite a vedere cosa c’è bisogno di fare” ci disse tra una chiacchiera e l’altra. La risposta non poteva essere altro che “si”. Così a gennaio 2004 siamo partiti in sei alla volta della sperduta missione di Saint Kizito a Musha, nel distretto di Rwamagana. Un viaggio lunghissimo a causa di un guasto all’aereo a Milano. Trentadue ore in giro per il mondo, Sud Africa compreso. Ma all’arrivo la stanchezza era sparita. I colori, le persone, i sorrisi, gli occhi, la natura meravigliosa, tutto ci ha fatto immediatamente scordare le soste negli aeroporti e gli aerei  presi per arrivare li. Padre Hermann ci fece da guida tra le strette strade di terra battuta, i bananeti e le case della povera gente. Ovunque andasse lo accoglievano come un padre, una guida, un uomo che parla la loro lingua anche se è un “musungu”, un uomo bianco. Ma i rwandesi se parli la loro lingua, non vedono il colore della tua pelle. Un grande insegnamento che ho messo in tasca, come molti, moltissimi altri. La sua presenza, nella missione, è tangibile anche quando non c’è. Nessuno si siede al suo posto a tavola quando lui è via. Tutti ne parlano con rispetto, e sanno che se loro ora possono costruirsi una vita, possono solo grazie a lui e agli amici che ha coinvolto in questa esperienza, sparsi un po’ in giro per il mondo. Tanti sono i ragazzi cresciuti a Saint Kizito che ora hanno trovato la loro strada, ma che spesso tornano anche solo per un saluto a questo grande uomo. L’età e qualche acciacco non hanno intaccato il suo spirito. Si sposta spesso in Europa per mantenere vivo il legame di tante persone con la missione, con I suoi ragazzi. Un impegno non da poco, che però lui porta avanti con fierezza e determinazione. Quando parte il saluto dei ragazzi è commovente, qualche lacrima scende sempre. C’è quasi una gara, tra i più grandi, per poterlo accompagnare in aeroporto. Quando torna, ad attenderlo ci sono tanti sorrisi e i petali di fiori raccolti per dargli il benvenuto.  Un padre, un sacerdote, un uomo che ho stimato fin dal primo momento. Che ascolterei parlare per ore, senza stancarmi. Le sue parole sono il frutto di una vita passata accanto ai più poveri, tra coloro che soffrono, giovani o anziani che siano. Ogni volta che torno ringrazio mentalmente Loredana Polli che quel pomeriggio mi invitò alla cena. Tutto iniziò da lì e sono sicura che non finirà presto.

Barbara Testa

 

About the Author

Stefano Pezzini
Vecchio cronista alla Stampa, mai saggio...