La notizia è arrivata a spizzichi e bocconi, “è morto un anziano su un trattore”, “è morto un agricoltore in un incidente sul lavoro”, poi la verità: è morto Franco Rapa, 63 anni, geometra, imprenditore assieme al socio Barbera di una impresa agricola specializzata in florovivaistica e giardinaggio. Soprattutto un amico, un uomo dal grande cuore, disponibile, presente anche se non ci si vedeva da molti, troppi anni. Lascia la moglie, Daniela, la figlia Francesca e il figlio Giacomo.
Dire che ci si conosceva da sempre è limitativo. Abitavamo ad Albenga, zona mare, io “immigrato” da Sanremo (mio babbo, funzionario Sip, era stato trasferito), lui, ligure di padre, gaucho da parte di madre, credo nato in Argentina o Uruguay, era schivo e un po’ introverso da ragazzo. Ci eravamo ritrovati, Anni ‘80, in Comunità Montana, lui tecnico, io giovane comunicatore, qualche ciao (a volte un buongiorno, per dire i caratteri), sino a quando, primi Anni ‘90, quel sottile muro di ghiaccio ligustico si scioglie. Ci frequentiamo, con le famiglie, nella sua casa a Salea che un tempo il suo babbo aveva trasformato in ristorante di successo, nel mio appartamento davanti al mare di Albenga. Ricordo una splendida domenica, assieme a comuni amici bolognesi, trascorsa a scarpinare sulla Valle delle Meraviglie, da ventimiglia sino al luogo gli antichi liguri disegnarono proprietà e scene di caccia sulle pietre. Ci univa la passione per la musica sudamericana, il tango, quello di Piazzolla, certo, ma soprattutto quello meno conosciuto di Gardel. Poi la vita, le vite, le scelte proprie o di altri/e, cambia il corso, frequentazioni, mai i sentimenti. Ci siamo rivisti, lui ormai imprenditore agricolo soddisfatto del suo mestiere, in cene e altre situazioni, era diventato sommelier Fisar, serio e professionale come solo i sommelier sanno essere, capace di raccontare champagne e vini liguri, sempre col sorriso e quel suo sguardo che sintetizzava la “gauchità ligustica”. Ciao Franco.
Vecchio cronista alla Stampa, mai saggio…