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Giovanni Pazzano, il cartografo della memoria che disegna i borghi del Ponente

Ormai, nella mia quasi lunga vita, 45 anni da cronista e una ventina da curioso, mi ero abituato ad aver incontrato qualsiasi tipo di persone, protagoniste di innumerevoli mestieri, da quelli più “banali”, avvocati, medici, idraulici, a quelli un po’ più movimentati, rapinatori, falsari, gigolò o lucciole. Devo essere sincero, però, non mi ero mai imbattuto in un cartografo. O meglio, quando lavoravo a Savona molto spesso passavo per via Vinzoni, cartografo seicentesco, ascoltando Guccini mi ero innamorato di Van Loon, scrittore e illustratore geografico tra realtà e fantasia degli Anni ‘20.  Nei tempi moderni avevo conosciuto geometri che, armati di teodolite, oggi dotati di GPS e altre diavolerie elettroniche, tracciavano strade e gasdotti, ma senza evidentemente disegnare il globo terracqueo (non si arrabbiano i terrapiattisti) già disegnato.

Giunto alla veneranda età di 65 anni, lo so, non è tanto veneranda, ma nemmeno da giovincello, ho conosciuto un cartografo vero, più vicino a Van Loon, se vogliamo, che non a Vinzoni, più portato a disegnare storia, racconti, toponimi dialettali, molto spesso dimenticati da chi ci abita, ma pieni di fascino, storia, tradizione. Anche perchè, grazie a satelliti e Gps, oggi conosciamo la geografia fisica e politica, ma spesso ci manca la Geografia dell’anima. Giovanni Pazzano, artista, illustratore, pittore, un matto insomma, che da qualche anno disegna le carte toponomastiche dei piccoli borghi della Riviera recuperando anima e memoria. Ha cominciato con quella di Ubaga e Ubaghetta, piccole frazioni di Borghetto d’Arroscia, il cui toponimo ricorda quello Ubago dal latino ombroso, umido, scuro, pericoloso raccontato in maniera splendida da Italo Calvino, di cui non posso non riportare l’intero periodo:

“D’int’ubagu, dal fondo dell’opaco io scrivo, ricostruendo la mappa d’un aprico che è solo un inverificabile assioma per i calcoli della memoria, il luogo geometrico dell’io, di un me stesso dicui il me stesso ha bisogno per sapersi me stesso, l’io che serve solo perché il mondo riceva continuamente notizie sull’esistenza del mondo un congegno di cui il mondo dispone per sapere se c’è”.

Giovanni impiega mesi per creare una delle sue carte geografiche della tradizione, perché, facendo un lavoro quasi da antropologo più che da cartografo, passa serate su serate con gli anziani che raccontano i toponimi di una piccola valletta, di un ruscello che cambia nome a seconda che sia a valle o a monte, con racconti di nomi dati a zone a seconda delle credenze o della realtà. Piccolo esempio: a Borghetto Santo spirito esiste un posto che si chiama “du serpente”, perché in una piccolissima parte macchia mediterranea, viveva secoli addietro un grosso serpente, probabilmente un uccellaia o un biacco. Gli abitanti non si avvicinavano, non per paura, ma per rispetto, così come quella lunga biscia non andava a mangiare uccelli e frutta sugli alberi dei vicini pescheti. Racconti, forse fantastici, di un mondo perduto dove l’uomo viveva nella natura e con la natura, con reciproci benefici. Il lavoro di Giovanni Pazzano è particolarmente importante perché, aldilà del lato artistico, che pure esiste, fissa nella memoria nomi, soprannomi, leggende, fantasie delle comunità che assieme a lui disegnano queste mappe, reali, ma immaginarie. Immaginarie perché non esistono più. Probabilmente oggi in località “du serpente” c’è un palazzo, probabilmente in qualsiasi toponimo, tolto i piccolissimi borghi dell’entroterra, nelle nostre vallate, Arroscia, Varatella, Merula, Maremola  e via dicendo, quelle che uniscono collina e mare, non c’è più nulla che non un ricordo che caratterizza i  luoghi. Giovanni racconta che ci sarebbero tanti territori da disegnare, con il ricordo, con il cuore, con il fascino del passato che non vuol dire non riconoscere il presente e affrontare il futuro. Bisogna, però fare presto, il ricordo, la tradizione orale, in qualche modo si disperde giorno dopo giorno, con il passaggio dei più anziani in un’altra dimensione, paradiso inferno per chi crede, nulla cosmico per chi non crede, ma questo poco cambia, perché ricordare il passato è la chiave per comprendere il presente e affrontare consapevolmente e civilmente il futuro.

 

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Stefano Pezzini
Vecchio cronista alla Stampa, mai saggio...