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Il Pigato della Riviera nel 1925 si chiamava ancora Bianco di Campochiesa

Una scoperta simpatica, che mette un altro mattoncino nel lungo lavoro di ricerca per stabilire, una volta per tutte, quando il Pigato, eccelso vino vanto di Riviera, fu battezzato tale. Sappiamo, infatti, che il primo a venderlo imbottigliato con il nome Pigato fu, a metà degli Anni ‘50 dello scorso secolo, Rodolfo Gaggino ad Ortovero. Prima di allora? La prima testimonianza scritta conosciuta ad oggi risale agli Anni ‘30, sempre del ‘900. Il nome compare  in casa Anfossi, a Bastia d’Albenga, in un menù di Natale ad uso e consumo dei famigliari. Milly Reale Anfossi (dimenticata eppure importante storica ed etnografa, capace di scoprire e capire l’importanza delle grotte di Castellermo, montagna sacra, versante della Val Pennavaire, per la ricostruzione della preistoria del Ponente) scrisse non solo le portate, ma anche i vini in accompagnamento, compreso il Pigato.

E proprio da casa Anfossi arriva la simpatica scoperta che l’amico Mario Anfossi ha voluto condividere. “E’ un libretto scritto a macchina e disegnato da mio nonno Antonio quando era podestà di Arnasco, Vendone ed Onzo. E’ un insieme di storielle frutto di fantasia, scritto nell’italiano dell’epoca e che, in qualche caso, sembrano inquietanti”, racconta. Il titolo del libretto è “Tutto fa (pure lu baccalà è pisce) ovverosia Podestaria aguzza lo ingegno. Racconti autarchici”. Racconta la strana storia (la potete leggere nello fotografie sottostanti) del Podestà che riceve, nella sua abitazione di Bastia, un segretario comunale zelante e noioso. Il Podestà, però, pensa soprattutto a come sbianchire il vino bianco sistemato per errore in una botte che aveva custodito il rosso. Per sbiancarlo ci vorrebbe del carbone animale, e il Podestà trova una soluzione inaspettata…,ma non voglio togliere la suspance a chi vorrà leggerlo. L’importante, per il Pigato, è il disegno fatto dallo stesso Antonio Anfossi, lui, nelle vesti di Podestà, accanto ad una botte con la scritta dell’anno, 1925 (III dell’era fascista) e quella del vino: “Campochiesa bianco”, che per la descrizione fatta nel racconto “col suo magnifico splendore giallo  dorato che costituiva uno dei suoi migliori pregi”: il Pigato!, che nel 1925 non era stato ancora battezzato!

 

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Stefano Pezzini
Vecchio cronista alla Stampa, mai saggio...