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Il polpettone ligure, talmente buono da far “schiattare i mariti”

Parli di polpettone e, in genere, parli di un rotolo di carne trita, a seconda delle regioni lessata, arrostita, comunque cotta. Gli avanzi, insomma, di una cena ricca, quel che resta di un desco ricco che, oggi come allora, è un peccato gettare. In Liguria no, il polpettone di carne non ha nulla, se non, in qualche cuciniera, una piccola e golosa parte di mortadella, ma storicamente siamo già avanti con gli anni, quando gli scambi con l‘Emilia diventano più frequenti. Il polpettone ligure, infatti, altro non è che una delle tante torte di verdura che caratterizzano la regione, da Levante a Ponente.

La ricetta originale parla di aglio (non vogliatecene se, ancora una volta, ribadiamo la bontà e la leggerezza di quello di Vessalico, presidio Slow Food), di un pezzetto di cipolla (perchè non usare quella Belendina di Andora, anche lei presidio Slow Food), patate (la Quarantina genovese sarebbe un must, ma vanno bene anche quelle di Bardineto o Calizzano), i fagiolini. Nel Ponente la variante è la zucchina trombetta di Albenga, che sostituisce i fagiolini. Una volta che le verdure si sono amalgamate si unisce la prescinseua (una ricotta acida tipica del genovesato, se non la si trova va bene anche una ricotta ovina), un paio di uova, maggiorana, sale e pepe e una bella manciata di parmigiano. In una teglia, ben unta con olio extravergine,assorbito da pane grattuggiato, si versa il composto, lo si livella, lo si cosparge di pane grattugiato e lo si irrora di olio extravergine. In forno per una quarantina di minuti a 180 gradi e lo si lascia raffreddare. Al di là della ricetta, tutto sommato semplice, il polpettone genovese ha una storia misteriosa e, ancor oggi, non spiegabile. In dialetto, infatti, è chiamato “sciattamaiu”, lo “schiattamariti”, quasi fosse una ricetta per rendere vedove anzitempo le massaie. Il fatto che fosse un piatto talmente buono da poterne mangiare a iosa convince sino ad un certo punto. Magari assieme a maggiorana e mortadella venivano mescolate piante strane…Un piatto da degustare, insomma, senza esagerare…Da abbinare con un pigato giovane, fresco e profumato.

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Stefano Pezzini
Vecchio cronista alla Stampa, mai saggio...