Un’ametista, una pietra considerata magica dagli alchimisti (in effetti è un quarzo, ma colorato in viola che gli da un aspetto elegante e sensuale), che ora viene utilizzata in enologia. Una enologia naturale, biodinamica e completamente naturale, senza (al momento) nessuna evidenza scientifica, ma certo affascinante.
Ad Albenga il passaggio del vino (rigorosamente rosso) in ametista è utilizzato da Giovanni Gentile, appassionato di vino, produttore di Rossese ad uso familiare. “E’ una tecnica che ho visto usare in una cantina toscana, Luteraia, per un loro vino di punta. Una tecnica che nasce unendo viticoltura, fisica dei quanti e ricerca spirituale ed ha la caratteristica di risvegliare nelle persone l’Indaco addormentato dentro di loro, ovvero la capacità di osservare il mondo attraverso il Sesto Senso, una visione intuitiva oltre i cinque sensi ordinari. Gli atomi che compongono il vino rosso, passando attraverso l’ametista, si muovono vibrando ad una frequenza corrispondente al colore Indaco, mentre gli atomi del vino prodotto in maniera tradizionale hanno una vibrazione corrispondente al colore rosso”, spiega Gentile. Il risultato, al di là delle facili ironie, è interessante, contando anche che il Rossese prodotto da Gentile è, si potrebbe dire, ruspante, senza l’intervento di enologi in cantina. L’Idea del vino passato attraverso l’ametista ha origini antiche. Una leggenda lo fa risalire a Lemuria, ipotetico continente scomparso 36 mila anni fa nell’Oceano Pacifico o, forse, Indiano. Ancora oggi in alcune isole greche si serve un vino fatto travasato nell’ametista, caratterizzato da colorati riflessi indaco.
Vecchio cronista alla Stampa, mai saggio…