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La borragine, gusto di Liguria bistrattato e spesso dimenticato

Mi autodenuncio prima: sono di parte, per due motivi: il primo, sono amico, da mezzo secolo, di chi la coltiva, la seconda, forse più importante, amo questa verdura perchè mi ricorda odori e sapori di ravioli eterei (Collina, ad Arnasco), scoperti da giovanotto dopo aver creduto che quelli della mamma, romagnola, quindi carnei, fossero irraggiungibili…Il segreto di quei ravioli ligustici era in una sorta di ibrido, forse un’erba, forse una insalata, la borragine!

Sono (siamo, c’era anche mia moglie Elisa) andato a trovare l’antico amico Lionello Siffredi a San Fedele, frazione agricola di Albenga, Lì, in un’azienda agricola curata come un giardino rinascimentale, Lionello coltiva da una trentina d’anni la borragine, verdura fondamentale nella cucina ligure, eppure bistratta, se non a volte dimenticata a vantaggio della più facile bietola, la “gea”, lontana parente della selvatica borragine. Già dall’etimologia del nome tradisce la sua “selvaticità”, arriva dal latino “borra”, tessuto di lana ruvida, probabilmente per la fitta peluria che ricopre le sue foglie e che, in cottura, sparisce. La teoria che derivi dall’arabo, a mio umile parere, rientra nel l’esterofilia che caratterizza anche la cucina italiana. Il “giardino” di Lionello, si diceva. Nelle serre la borragine è protagonista in tutte le sue fasi di crescita: dal cubetto con due fogliette, al cespo con foglie grandi, boccioli e fiori. Si raccoglie ogni giorno, si risemina ogni giorno, per una sorta di crescita dettata da luce e calore. E’ vero, la borragine esiste anche allo stato selvatico, ma sfido chiunque ad andarla a cercare tra prati e ripe dei torrenti e raccoglierne abbastanza e trasformarla in ripieno per ravioli o torte verdi. E’ sempre più rara da trovarsi dagli ortolani, per non dire dalla grande distribuzione. Eppure la borragine entra già nelle prime cuciniere date alle stampe attorno al 1860, quella dei Ratto, padre e figlio, quella del Rossi, mai realmente svelata con l’identità dell’autore. Diatribe editoriali a parte, la borragine è una pianta (erba?) autoctona del Bacino Mediterraneo, areale ligustico compreso, che nel passato è stata “esportata” in Asia e nelle Americhe. Le foglie si usano cotte in molti piatti regionali: minestroni, torte e frittate, o come ripieni per ravioli e pansoti in tutta la Liguria (la borragine, è bene non dimenticarlo, è la pianta maggioritaria del “preboggion” utilizzato, a Levante soprattutto, ma anche a Ponente, come misto di erbe spontanee per i ripieni). I suoi fiori, ancora in bocciolo, sono consumati in tutta la regione per i frisceui  o per gustose frittate. Sin dall’antichità la pianta di borragine ha fama di svegliare gli spiriti vitali, Plinio ne descrive le doti: “Un decotto di borragine allontana la tristezza e dà gioia di vivere”, e anche nel Medioevo aveva fama, soprattutto in decotto, di pianta capace di risvegliare l’ottimismo, un comfort drink, diremmo oggi. La grande intuizione di Lionello Siffredi è stata quella di commercializzare la sua borragine già bollita, porzionata e messa sotto vuoto. Chi la compera? I pastifici, quelli seri, che vogliono un prodotto di qualità, disposti ad acquistare prodotti con un valore aggiunto per realizzare prodotti di alta qualità, “con” valore aggiunto, come la borragine di Lionello. Un esempio da copiare, evidentemente, magari con altre eccellenze di Albenga, dalla scorzonera al carciofo (quello vero, non quello sardo coltivato ad Albenga), dalla cipolla rosa di Albenga alla carota, sempre di Albenga…Non ci vorrebbe molto, ci vorrebbe visione, non è semplice, nemmeno difficile.

 

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Stefano Pezzini
Vecchio cronista alla Stampa, mai saggio...