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Liguria, terra di grandi, grandissimi rossi!

I numeri sono difficilmente confutabili: dato 100 il totale della produzione di vino in Liguria, l’85 per cento è composto da vini bianchi. Resta il 15 per cento di vini rossi che, messa così, significa una percentuale irrisoria. Per la matematica, non certo per gusto e qualità! La dimostrazione di quanto detto si è avuta a Quiliano, durante la masterclass condotta da Paolo Massobrio e Jacopo Fanciulli che ha aperto Granaccia e Rossi di Liguria, manifestazione organizzata da Vite in Riviera, Comune e Slow Food, che diciotto anni fa, quando è nata, sembrava una provocazione…E invece le sei bottiglie in degustazione hanno confermato come la Liguria, dal Ponente del Rossese di Dolceacqua al Marselan (un’uva incrocio tra cabernet e granaccia) delle Cinque Terre, passanda dall’Ormeasco della Valle Arroscia al Rossese di Albenga, possa competere, nella qualità, non nei numeri, con le blasonate bottiglie di Toscana, Piemonte, Triveneto.

Ad aprire le danze il rosato, da uve Rossese di Albenga, 4C di BioVio, cantina a Bastia d’Albenga. Il nome è un omaggio alle quattro donne di famiglia: Chiara, Caterina, Camilla e Carolina, fresco e beverino, dall’accattivante colore rosa antico, sentori floreali, agrumi, pesca, ideale come aperitivo o in abbinamento a piatti a base di pesce.

Poi Scuvea, Rossese di Albenga classico della Vecchia Cantina di Salea. Il colore vira sul rubino con riflessi di arancia, profumo fruttato, caldo e avvolgente in bocca, con sentori di frutti di bosco ed erbe aromatiche, ideale per accompagnare un coniglio alla ligure (e non solo, ovviamente),

Si sale in corposità e ci si sposta a Ponente con il Dolceacqua di Terre Bianche. Il colore si fa più intenso, al naso arrivano note di frutta rossa, ciliegia in primo luogo, rosa canina e spezie. In bocca è fresco, morbido, avvolgente, leggermente sapido con un leggero retrogusto amarognolo. Versatile negli abbinamenti, ottimo con lo stoccafisso alla baucogna e con piatti di selvaggina.

L’Ormeasco Classico di Cascina Nirasca, Acquetico, frazione collinare di Pieve di Teco, è un bicchiere di storia e gusto. Rosso intenso, entra nel naso con tutta la potenza delle spezie e della frutta rossa, con picchi balsamici inebrianti. In bocca è caldo e avvolgente, i tannini si sentono, ma non disturbano. Con ravioli di carne e selvaggina…

Ci avviciniamo al termine e non manca la sorpresa, il numero 5: il Shaula di La Torre Albana, Parco delle Cinque Terre. Uvaggio Marselan e, non avendolo mai assaggiato (la produzione è molto limitata), siamo curiosi: è una Epifania! Il vino eredita dal Cabernet Sauvignon la complessità e la ricchezza aromatica, mentre il contributo del Grenache si sente in bocca: morbido, setoso, dolcemente caldo. La struttura è piena, ma nonostante la gradazione elevata, non è impegnativo, avvolge  con tannini morbidissimi. Si sposa benissimo a ravioli, alle carni rosse e, a mio avviso, non disdegna pesci di grossa taglia.

Per “educazione” abbiamo lasciato per ultimo la padrona di casa, la Granaccia, in questo caso Trexenda (nome del vigneto recuperato a Quiliano) della cantina Viarzo. Mora e ribes saltano al naso, mentre in bocca è caldo, avvolgente, vellutato, da abbinare a torte verdi, sardenaira, trenette al pesto, carni alla brace.

In conclusione, terminata ormai da alcuni decenni l’epopea degli anonimi “nostralini”, miscuglio di tutte le uve a bacca rossa che si trovavano nei vari appezzamenti di vigne sparse, la filosofia di puntare sulla valorizzazione delle singole varietà sta dando i suoi frutti anche nei vini rossi. E se la strada della qualità è stata intrapresa con successo, resta da imboccare quella di far conoscere e valorizzare i nostri rossi, per far capire che la Liguria non è solo Pigato e Vermentino…

 

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Stefano Pezzini
Vecchio cronista alla Stampa, mai saggio...