Si definisce un “archeologo del vino”, un vezzo per dire che lui, il vino, lo tramanda, lo fa con gli stessi metodi appresi da padre e nonno. Fausto De Andreis, cantina Rocche del Gatto, Salea d’Albenga, è un uomo all’antica, burbero come ogni buon ligure, fumantino e testardo. E pazienza se, per gli standard moderni, il suo pigato e il suo vermentino non possono fregiarsi della Doc, lui semplicemente li chiama “Spigau” o “Ntin” (“Un vino che sa di coniglio”, spiega con orgoglio), e li invecchia come se non ci fosse un domani. Il risultato? Sorprendente!
Significa che vini bianchi, vecchi 10 o 12 anni (ma anche di più), diventano un’altra cosa, piacevole e interessante. Certo, il sentore di agrume evapora, avanza la mandorla, difficile abbinarli a pesci o crostacei, ma con formaggi erborinati dicono la loro, quasi fossero bianchi travestiti da rossi. L’ideale, però, è sorseggiarli come vini da meditazione, magari con una tavoletta di cioccolato fondente o, meglio, un buon sigaro toscano (io l’ho fatto con un Originale, e il risultato è stato davvero positivo).
Fausto, come detto, è un testardo e, da tempo, aveva un’idea in testa: produrre un amaro che sapesse davvero di Liguria e, soprattutto, non avesse zuccheri. “Il punto è che io non sopporto gli amari zuccherini, li trovo stucchevoli, di difficile digestione e, soprattutto, con poco potere digestivo”, spiega, come produrre un amaro a sua somiglianza fosse la cosa più semplice del mondo. E visto com’è andata, aveva ragione Fausto. Il risultato è un amaro paglierino, secco, con sentori di erbe aromatiche e agrume, mandarino in primis. Il sapore è gradevole, se non dal primo sorso, almeno dal secondo, quando la lingua comincia a pizzicare, colpa del peperoncino. Buono, non c’è che dire, e non stucchevole, anzi, molto piacevole. Chiedo a Fausto il nome del nuovo prodotto, la risposta è secca e scontata: “L’Amau”. Scemo io che l’ho chiesto…
Vecchio cronista alla Stampa, mai saggio…