Ecco una testimonianza di un’Albenga ormai scomparsa scritta dall’amico Prospero Roveraro
Alla fine degli Anni ‘70 l’alveo del Centa si presentava diverso da come siamo abituati a vederlo adesso. Dopo il 1980, infatti, sono stati effettuati molti lavori di arginamento e di messa in sicurezza del fiume per evitare disastrose alluvioni. Dalla vecchia passerella risalente verso monte, era presente la vecchia arginatura degli Anni ‘30 che conteneva e smorzava le piene. C’era anche, sino a fine ‘70, una notevole attività estrattiva che teneva basso il livello del letto del fiume. Questa attività di prelievo di materiale lapideo permetteva il formarsi di laghetti e pozze di varie dimensioni, serbatoi di acqua abitati da varie specie di pesci, tra cui cavedani, barbi e qualche tinca. Chi faceva da padrona, però, era l’anguilla che, risalendo dal mare, aveva la possibilità di riprodursi tranquillamente, approfittando anche dal nutrimento che proveniva dagli scarichi dei frantoi per le olive, che allora convogliavano i reflui di lavorazione direttamente nel fiume.
La pesca dell’anguilla, ad Albenga, aveva due stagionalità. La prima, che avveniva da fine aprile a giugno, consisteva nella pesca col parapioggia, “cu paregua”. La preparazione della pesca, che iniziava al calar della sera, era lunga. La prima fase consisteva nella zappatura del terreno per estrarre i lombrichi, l’esca. Una volta estratti i vermi si legava ad una lenza in nylon (ma più anticamente ad una corda sottile), un lungo e fine ago, in certi casi un fine legno, si provvedeva ad infilare uno ad uno i lombrichi, fino a raggiungere un gomitolo, “u massamme”. Finita questa operazione si provvedeva a legare la lenza ad un robusto, ma sottile, bastone di legno. Dato che la pesca si effettuava di sera, e non c’era possibilità di avere fonti di energia, si provvedeva a preparare una lampada ad acetilene. Anche questa era una preparazione lunga e attenta. Il gas che bruciava si otteneva da un procedimento chimico. Veniva utilizzava il carburo di calcio che, a contatto con l’acqua, produceva acetilene, gas molto infiammabile, che convogliato in una apposita lampada ermetica, si incendiata e produceva luce. Completava l’attrezzatura un secchio con coperchio e un ombrello.
La pesca consisteva, dopo una ricognizione nel pomeriggio, nell’immergere il gomitolo di lombrichi nella pozza in cui c’erano le anguille e aspettare la tocca. Quando, l’anguilla abbocava, si dava uno strappo. Siccome l’animale era vorace, non mollava la presa e veniva tirato fuori dall’acqua. A questo punto bisognava staccare il pesce dai lombrichi facendolo cadere nell’ombrello per poi finire nel secchio con coperchio, perchè l’anguilla aveva la possibilità di sgusciare fuori, avendo sviluppato anche la capacità di respirare fuori acqua.
L’altra pesca all’anguilla, avveniva in piena estate, nei periodi di secca del Centa. Era detta pesca con le tenaglie, “e morsce” nel dialetto. In genere iniziava verso fine giugno e finiva ad agosto. L’anguilla, nei periodi di secca, si rifugiava in piccole pozze vicino agli argini, in attesa che, con le piogge autunnali, il Centa riprendesse a riempire i vari laghi. I problemi erano due, il primo stanare le prede, il secondo catturarle. Per stanarle si usavano vari metodi. Si poteva usare la calce, l’estratto di tabacco che veniva usato in agricoltura come antiparassitario, oppure (ma aveva varie difficoltà) “u varegu”, una radice spontanea che cresce sulle colline, molto urticante. Il prodotto scelto veniva diluito e versato nelle pozze, l’anguilla, che sentiva bruciare gli occhi, usciva dal suo nascondiglio a cercare aria e, a questo punto, bisognava catturarla. Per farlo si usavano delle tenaglie di varie misure, fabbricate in modo artigianale dai fabbri che, in quei tempi, abbondavano.
Famose per la pesca delle anguille erano Leca e Ortovero. Durante le feste di San Pietro a Leca, il 29 di giugno, e la Madonna del Carmine a Ortovero, il 16 di luglio, il piatto principale che veniva degustato, sia nelle case che nelle varie trattorie, era appunto l’anguilla che veniva servita fritta, alla brace, in carpione. Era il trionfo della civiltà contadina.
Prospero Roveraro
Nella foto tenaglie da anguilla a manico lungo.
Vecchio cronista alla Stampa, mai saggio…