Non so quando ne usciremo, so che ne usciremo. Non so, e questo mi angoscia, quanti ci precederanno (me compreso, sia chiaro), ma so che una volta usciti, riprenderci sarà pesante. Non difficile, non impossibile, pesante. Parlo, naturalmente, del mondo dell’enogastronomia, dell’agricoltura, del turismo, mondi che si tengono per mano, anche se fino a ieri non lo sapevano. Ho la sensazione che, dopo questa botta (non parlerei di guerra, l’ultima in Europa fece sei milioni di morti solo nei forni crematori) l’Occidente sarà diverso, migliore, come lo era quando costruì dalle macerie un’Europa pacificata, pronta a collaborare, con Statisti del calibro di Adenauer, De Gaulle, De Gasperi, ma anche Pacciardi e Pertini. Cosa avevano in comune con il loro popolo? La speranza, quella che noi Occidente in questi anni abbiamo perduto, convinti che la routine fosse la realtà. Quando, con fatica, vedremo la luce, dovremo ripensare al nostro mondo, dovremo ripensare a fare squadra per vendere il nostro vino, le nostre piante aromatiche, per valorizzare le nostre eccellenze. La politica e le amministrazioni, in questi giorni cupi, pensino ad affrontare il virus, i comunicatori e gli esperti di marketing comincino a lavorare ed inventare (senza sciacallaggio come ho visto diverse volte sui social, e senza gare a chi lo ha più lungo…) nuove strategie per limitare i danni economici in settori strategici come turismo ed enogastronomia. Diamo spazio alla speranza, al futuro, alla rinascita. #laliguriasirialza.
Vecchio cronista alla Stampa, mai saggio…