Di Paolo Tavaroli
Realizzando il secondo calendario per la Basta Poco onlus, mi sono parecchio divertito. I volontari del benemerito sodalizio si sono messi a disposizione del team creativo con lo stesso spirito che, occupandosi normalmente di questioni pesanti e dolorose, hanno cercato sempre di utilizzare per stemperare le emozioni con l’umorismo, l’ironia, un bel po’ di annessa goliardia, per poi riuscire ad affrontare, motivati e sereni, gli interventi di accompagnamento e soccorso.
Mentre si allestiva lo scatto che parodiava una improbabile Venere marina presso la Foce del Centa, con la bella signora che tra le risate faticava assai a tenere una posa accettabile, a causa dell’assurdità della situazione e delle battute di Luca, non avevo ancora conoscenza dei legami che il famosissimo dipinto, ammaliatore agli Uffizi di Firenze per generazioni di visitatori, ha avuto con la nostra Liguria.
La bellissima ragazza, icona senza tempo della bellezza femminile e della poesia del mito, passata alla storia come “la Venere del Botticelli”, non è una sconosciuta partorita dalla fantasia dell’artista, o una modella, ma una giovanissima gentildonna e sposa genovese, trasferitasi in quel della Firenze medicea con il fortunato marito. Ma la fortuna o l’abilità del di lei consorte nel conquistare e sposare quella “tutta ligure” meraviglia di gioventù e bellezza, il cugino di Amerigo Vespucci di nome Marco Vespucci, era destinata a durare poco.
Simonetta Cattaneo, questo il nome della ragazza diciottenne, che amava girare sola per le strade fiorentine vestita in un semplice abitino lungo e bianco, capelli biondi sciolti lungo la schiena, tenuti a bada con qualche nastrino e un filo di perle, in tempi di abiti rinascimentali codificati, coordinando il tutto con un bel sorriso e occhi blu incantevoli. Tutta la città maschile se ne invaghì a vista nel giro di sei anni e, in particolare, il Sandro, pittore che la volle come modella e la immortalò, dipingendola per tutto il resto della vita e in modo così memorabile, perché perdutamente innamorato di tanta spontaneità e bellezza.
In tempi di matrimoni combinati o gestiti dal potere maschile, il cuore dei giovani sognava l’amore e mal sopportava come sempre confini e definizioni, come cantato da Dante Alighieri. Il tutto ben rappresentato dalla giovane che, vestita solo dei suoi capelli, pencola leggermente dalla conchiglia, con una espressione innocente e inconsapevole, che si pensa sia stata così diabolicamente seduttiva proprio perché inserita in una specie di candida spontaneità che tutta Firenze poté rilevare dal vero. E quando, a perdere la testa per la aerea ragazza, è il fratello di Lorenzo il Magnifico, l’uomo più potente di Firenze, Giuliano de’ Medici, si può immaginare agevolmente la corte serrata che quest’ultimo farà alla giovine. Simonetta sarà invitata a feste e banchetti. Giuliano la sceglierà come reginetta del torneo in piazza Santa Croce, per il 29 gennaio 1475, come testimoniato da Angelo Poliziano. Non si sa quando la ragazza capitolò, ma la relazione diventò presto pubblica e “bollente”, obiettivo che Giuliano desiderava ottenere. Egli non badò a spese, acquisto di un cavallo campionissimo compreso, vincendo alla grande il Torneo e conquistando di diritto il cuore della dama.
Mentre Il nostro pittore ha modo di studiare volto e forme della sua modella, vivendo estasi e tormento, la ragazza è ribattezzata a Firenze “la senza pari” e, dopo la prudenza iniziale, comincia ad amoreggiare spudoratamente e platealmente con Giuliano. In un ritratto del Botticelli, sfoggerà uno dei gioielli più preziosi della collezione di Lorenzo a sancire la ufficialità della storia: è una dama della famiglia Medici e il Vespucci continui i commerci suoi, nell’ombra in cui è precipitato.
L’idillio dura solo fino al 1476, quando Simonetta muore a ventitré anni. Tisi? Veleno? Non si sa. Si conosce solo della disperazione di Giuliano che, pazzo di dolore, arriva alla porta del vedovo pretendendo tutti gli abiti della sua amata. Si sa della reazione del Botticelli, del suo pianto sconfortato, specie al passaggio del feretro che mostrerà per l’ultima volta a Firenze la “senza pari”. Si sa che Botticelli continuerà a dipingere per tutta la vita solo lei: tra il 1482 e il 1487, oltre alla Venere, la troviamo con le sue delicate fattezze nella Madonna del Magnificat, nella Pallade, e nel Centauro della Madonna della melagrana.
Tutti si ricorderanno che Giuliano, due anni dopo la morte della sua bella, viene assassinato nella Congiura dei Pazzi.
Come racconta la bravissima Alessandra Redaelli, dipingere la ragazza amata di nascosto per anni, porterà a il Botticelli a considerarlo il suo unico sfogo, quasi invaghito della storia d’amore tra Simonetta e Giuliano che avrebbe voluto vivere lui e, per trasposta persona, a realizzare un dipinto oggi collocato nella National Gallery di Londra, dal titolo Venere e Marte: sulla tela la bella genovese appare molto carnale, appena coperta dal panneggio dell’abito leggerissimo a lasciare indovinare le sue forme, intenerita e divertita dal sonno post-coitale del suo amante Giuliano che giace mezzo nudo tra un gruppo di satiri che cercano di svegliarlo.
La terribile alluvione dell’Arno del 1966, infierisce ancora, perché i resti di Simonetta, sepolti nella tomba di famiglia collocata nella Chiesa di Ognissanti, dove in segreto Botticelli era riuscito ad essere tumulato, vengono irrimediabilmente dispersi, allontanandolo per sempre dalla sua amata, tranne che nell’eternità.
Vecchio cronista alla Stampa, mai saggio…