“Degli 80 milioni apportati da Glenalta 25 milioni saranno utilizzati per acquisire gli strumenti partecipativi, mentre fino a 55 milioni saranno utilizzati per acquisizioni e investimenti finalizzati, ad esempio, a consolidare il mercato di riferimento o espandersi in settori adiacenti, come quello della frutta secca”: sono bastate queste poche parole pronunciate da Raffaella Orsero e riportate dall’agenzia Reuters qualche giorno fa, per scatenare la dietrologia. Il gruppo Orsero a febbraio sarà quotato in borsa grazie alla fusione con Granalta, e se è vero che la famiglia e i suoi soci storici (le famiglie Ottonello e Tacchini) non avranno la possibilità di superare il 49 % delle azioni, è pur vero che Raffaella Orsero manterrà la carica di presidente.
E l’aver ventilato di voler entrare nel ricco e dinamico settore della frutta secca è stata letta come una dichiarazione di guerra alla Noberasco 1908, altra azienda albenganese (anche se oggi trasferita completamente a Carcare), leader nella frutta secca e disidratata. Tra le due realtà dell’import-export ingauno, oltretutto, i rapporti sono sempre stati ottimali. Negli Anni ’70, addirittura, importavano e distribuivano assieme i pompelmi Jaffa prodotti in Israele. Ora la dichiarazione di guerra, dettata anche dal fatto che la frutta secca, un tempo limitata ai prodotti in guscio da consumare in occasione delle festività invernali, è diventata un prodotto salutista, adatto nelle diete degli sportivi.
Noberasco, ovviamente, non sta a guardare e nei mesi scorsi ha dato vita ad una joint-venture con Besana, altro player di peso nel settore frutta secca. Un consorzio tra imprese con l’obiettivo di promuovere sinergie sugli acquisti, sui processi di specializzazione produttiva, e sullo sbocco nei mercati mondiali, Stati Uniti e Cina in primo luogo. L’interesse per la frutta secca, in guscio ed essiccata, è confermato dai numeri. Le vendite nel 2016 si sono assestate a 625 milioni di euro (+9,4% sul 2015) per oltre 52mila tonnellate di prodotto (+4,4%). Dal punto di vista produttivo si registra un aumento dei terreni coltivati a nocciole, mandorle e noci. In totale l’Italia ha circa 200 mila ettari di terreno destinati a queste tre coltivazioni. A questi numeri, ovviamente, si aggiungono i prodotti importati sia dall’area mediterranea che americana.
Vecchio cronista alla Stampa, mai saggio…